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"Ai GIOVANI non si INSEGNA più a SALTARE l'UOMO"

Bella intervista al coordinatore delle nazionali giovanili FIGC Maurizio Viscidi: "Per questo perdiamo la qualità in attacco"

Maurizio Viscidi, coordinatore delle nazionali giovanili della FIGC e persona molto influente (e considerata) nel calcio italiano, ha rilasciato un’intervista decisamente interessante a ‘La Stampa’.  Viscidi, un amico di TOSCANAGOL, ha parlato dello sviluppo del talento dei nostri giovani, partendo da un assunto: "Alleniamo i giovani solo al possesso palla, ma così ci perdiamo la qualità in attacco".

Viscidi già da tempo insiste sul fatto che "alcuni tecnici delle giovanili pensano a se stessi come tecnici di Serie A e fanno gli stessi allenamenti di Guardiola, Conte e Ancelotti, senza pensare che hanno giocatori da sviluppare e non squadre da costruire", mentre "i ragazzi imparano solo un calcio collettivo, fatto di molti passaggi e di lavoro di reparto". È questo "un calcio dove manca tutta la parte individuale, ovvero, la capacità di 'saltare' l’avversario e di difendere singolarmente. Insomma, la capacità di essere protagonisti, invece che ingabbiati in mille movimenti e schemi, e nel quale non si insegna più a saltare l’uomo e l’uno contro uno è stato cancellato".

Oggi il coordinatore nazionale delle giovanili ha ribadito: "Quella che va corretta è la metodologia di allenamento nell’età dove il giocatore viene fuori. A 15, 16 anni vediamo ragazzi che promettono, ma, poi, è come se fermassero il loro processo di crescita per mancanza di conoscenze: al traguardo arrivano i centrocampisti, per le punte il discorso si complica". E ancora: "I tecnici delle giovanili allenano i primi 70 metri, non gli ultimi 30. Pensano al lavoro di squadra, non alla specificità del ruolo: li sento dire 'faccio il 3-5-2' o 'no, è meglio il 4-3-3', ma, a quell’età, serve allenare il giocatore".

Finalmente! Parole che ci rinfrancano e ci danno (almeno) una speranza. Quindi l’analisi sulle punte: "Gli attaccanti, da un po’ di tempo, li definisco 'muri' o 'sponde': questo gli chiedono gli allenatori, dialogare con i compagni venendo incontro al pallone. E la profondità? La percezione di quello che accade prima che si tocchi il pallone? Vi dico quello che stiamo notando nelle nostre analisi: i giovani centravanti hanno paura di farsi male, non calciano di potenza perché preferiscono usare sempre il 'mezzocollo', non si divertono, il piede è debole, il colpo di testa inesistente, nelle conclusioni al volo hanno problemi spazio-tempo".

Un’impostazione che penalizza i giocatori offensivi e lo sviluppo del loro talento, da sempre basato sulla creatività, sul protagonismo, sulla giocata individuale. Un talento che non può essere solo irregimentato in schemi, moduli e compiti; più in generale nella dottrina asfissiante ed autoreferenziale (ma per i tecnici) del gioco collettivo: "Diamo troppo peso al possesso palla che favorisce la crescita dei centrocampisti a discapito delle punte: attaccare il campo verso la porta avversaria è una rarità. I tecnici urlano ai loro ragazzi di giocare facile, di non osare, di guardare il compagno vicino".

Immancabile la domanda sul confronto con gli altri Paesi europei, alla quale Viscidi risponde: "Altrove sanno valorizzare il talento e arricchirlo: in Europa vanno nella direzione giusta. Un tempo si giocava per strada e, per strada, si imparava l’arte del dribbling o si coltivava la virtù di cercare la porta: noi non siamo stati in grado di dare una risposta al cambiamento socio-economico, via dalla strada ci siamo persi nella tattica non specifica".

Fonte: www.rivistacontrasti.it

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  Scritto da La Redazione il 27/03/2024
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