Francesco Flachi nella sua paninoteca

LA PENA, IL DOLORE E UNA PANINOTECA — "Nemmeno avessi ammazzato qualcuno – commenta l’ex giocatore –, d’accordo: ho sbagliato due volte. E mi sono rovinato la carriera: già questa è una bella pena da scontare, non trova? Le faccio una domanda: dopo tutto questo tempo ha ancora senso lo stop? Mi fa male non poter portare allo stadio mio figlio, sapere che il mio nome è dentro una lista nera. E mi fa ancora più male non poter andare in panchina: vorrei allenare in modo normale, prendere il patentino, fare la gavetta, vedere se sono capace. Altrimenti resto a preparare i panini…". Sì, avete letto bene: perché nel frattempo Flachi ha aperto un locale a Firenze (“Il panino di categoria”) e non si vergogna mica di servire ai tavoli fino a notte fonda. "Perché mai? Sono altre le cose di cui devo vergognarmi". Il riferimento è alla doppia squalifica, l’ultima nel 2010, perché positivo ai metaboliti della cocaina. "Guardi, non voglio sentire quella parola. Mi dà fastidio: sono stato un cattivo esempio, ma è il passato. Perché è accaduto? Avevo disconnesso il cervello. Un cretino, suvvia. Ma ora dico: non mi sono venduto le partite e non ho fatto uso di doping per migliorare le prestazioni. Forse, dico forse, 9 anni di stop possono bastare. La seconda opportunità si concede ai peggiori criminali. La lezione è servita, datemi la possibilità di dimostrarlo con i fatti".
 
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Il Bagno a Ripoli

QUEL DERBY DI ROMA E IL PATATRAC — La svolta in negativo dell’attaccante ha una data precisa: nel settembre 2006 subisce una squalifica di 2 mesi perché, secondo l’accusa, aveva chiesto informazioni sul derby di Roma dell’aprile 2005 (terminato 0-0). "Condanna ingiusta – spiega Flachi –, basata su un chiacchiericcio tra tifosi intercettati. Ho tanti difetti, ma in vita mia non ho mai scommesso su nulla. Ho reagito male a quella situazione, con il senno di poi dovevo far finta di essermi infortunato. Mi sono invece lasciato andare e ho combinato il patatrac".

LA SAMP, I GOL, LA NAZIONALE I CANI NERI — Nel 2007 la prima sospensione: due anni. Carriera spezzata nel momento migliore con i gol a grappoli in A con la Samp e la prima convocazione (senza esordire) in Nazionale. Il ritorno nel 2009: Empoli e Brescia. Ma i cani neri sono ancora lì, pronti ad azzannarlo. Game over nel 2010: da recidivo è punito in modo esemplare. "Dura ripartire, ma la colpa è stata solo mia. E quindi mi sono rimboccato le maniche. Aprire la paninoteca è stato un primo passo, non mi sono mai nascosto. Ci ho sempre messo la faccia. Il calcio fa parte della mia vita, anche se gli amici rimasti sono pochi, non posso e non voglio cancellarlo. Ho una scuola calcio e tante famiglie mi affidano i figli senza problemi, del passato non gli frega. Conta il presente e la fiducia conquistata giorno dopo giorno. E poi alleno il Bagno a Ripoli, mi tocca seguire le partite su un cucuzzolo: soffro come un cane. Ma quando vinciamo, provo le stesse emozioni della A. Il calcio è bellissimo per questo: le dinamiche di una squadra sono identiche in qualunque categoria, cambiano solo i gesti tecnici e gli stipendi".

Flachi dietro la rete

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LA VIOLA CON RUI E LE LACRIME AL MARASSI — Flachi è fiorentino e con la maglia viola ha esordito in A nel 1994: "In squadra c’era gente come Rui Costa, Batistuta, Baiano. Avevo meno di 20 anni, trovare spazio quasi un miraggio. Adesso la società ha scelto di puntare sui giovani: fa benissimo. Chiesa è uno dei pochi talenti italiani, così come Bernardeschi venduto alla Juve. E Pioli è l’allenatore giusto per portare avanti questo progetto. La Samp? Il legame con quei colori non si spiega a parole. Sono il terzo cannoniere della storia doriana (111 gol, ndr) dopo Mancini e Vialli, mica pizza e fichi. Ogni volta che entro a Marassi ho i brividi, mi viene da piangere. Anzi, da ridere: per vedere la Samp mi devo camuffare, passare per un altro a causa della squalifica". Se non accade qualcosa, amnistia o grazia, il futuro di Flachi è ancora da clandestino: "Odiavo la panchina, adesso pagherei per sedermi. Che tipo di allenatore sono? Ne ho avuti tanti, mi piace ricordare Ranieri a Firenze, ma quello a cui sono legato di più è Walter Novellino: capiva ogni situazione, i nostri problemi, aveva sempre la parola giusta. Ecco, credo che un buon tecnico, al di là del modulo, debba saper fare questo, conoscere la squadra come le sue tasche, entrare nella testa di ogni calciatore. E dargli, quando serve, il consiglio giusto. A proposito: se venite a trovarmi, assaggiate il panino con burrata e prosciutto toscano. Una delizia, come un mio gol in rovesciata".
 
Francesco Ceniti
 
fonte www.gazzetta.it